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1 anno agoon
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Linda CorsiIn questo articolo parliamo di moda e sostenibilità.
Il fast fashion o moda veloce ha modificato l’esperienza di shopping facendoci trovare nei negozi un’abbondanza di capi a prezzi contenuti. Di conseguenza aumenta però anche la produzione di indumenti che, dopo essere stati utilizzati per un periodo di tempo ridotto, vengono velocemente scartati.
Nonostante il notevole impegno delle aziende, la sostenibilità nella moda è ancora un tasto abbastanza dolente.
L’industria tessile vanta il triste primato di essere al quarto posto per l’impatto che ha sull’ambiente e sul cambiamento climatico, dopo il cibo, gli immobili e la mobilità. È il terzo settore per l’utilizzo di acqua e di terra, e il quinto per l’uso di materie prime e per le emissioni di gas serra, circa 1,2 miliardi di tonnellate all’anno.
In Europa, ogni cittadino compra ogni anno in media 26 kg di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11 kg, di cui l’87% finisce in discarica. In ottica mondiale, la situazione appare ancora più grave: meno dell’1% degli indumenti viene riciclato come vestiario, anche a causa della mancanza di tecnologie adeguate.
La produzione di abiti rilascia ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani, una quantità corrispondente a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica. Senza contare che nell’ambiente finiscono inoltre sostanze nocive per la salute dei lavoratori, dei consumatori e degli ecosistemi.
Per queste ragioni l’UE ha intrapreso un percorso per combattere i danni ambientali della moda e incentivare il riciclo degli indumenti. Sul tavolo anche la proposta di vietare la distruzione degli articoli invenduti.
È anche previsto lo stanziamento di fondi a sostegno della ricerca, all’innovazione e allo sviluppo delle competenze necessarie per incentivare la transizione verde.
Fortunatamente, oltre alla nostra partecipazione come membri attivi alla lotta quotidiana all’inquinamento, notizie positive raccontano di tantissime idee nate per sostenere questo atteggiamento, anche a livello aziendale.
Sempre più persone vogliono fare la differenza e si impegnano a combattere lo spettro del fast fashion attraverso la creazione di diverse startup, con lo scopo di sensibilizzare un pubblico sempre più ampio sul tema. L’Italia ne vanta diverse, che vogliono aiutarci a rendere i nostri armadi sempre più green.
Scopriamo quali sono!
La prima di cui parleremo è Feeling Felt, startup milanese specializzata nella produzione di accessori green.
Il brand è noto per l’utilizzo di materiali innovativi e sostenibili, tra cui il sughero, il piñatex, derivato dagli scarti dell’ananas, il cotone rigenerato e la canapa.
Troverete nei loro prodotti una sintesi di qualità, un design minimal e produzione sostenibile, attraverso la manifattura 100% made in Italy.
E se vi dicessimo che la frutta non fosse solo da mangiare ma anche da indossare?
Ebbene sì: esiste una startup green sostenibile che ha reso possibile indossare la frutta creando il primo tessuto sostenibile da agrumi.
Nel 2014, due giovani donne siciliane hanno avuto un’idea dalla quale è nata Orange Fiber, la startup che si occupa di trasformare gli scarti di agrumi, il cosiddetto “pastazzo”, in tessuti bio.
Grazie al processo brevettato, Orange Fiber ha reso possibile l’estrazione della cellulosa d’agrumi atta alla filatura, trasformando così uno scarto in una risorsa, per favorire il rilancio economico del comparto manifatturiero italiano.
Riciclo e beneficio per l’utilizzatore si fondono, dato che i tessuti così ricavati rilasciano oli essenziali e vitamina C, che risultano benefici per la pelle.
La startup ha collezionato premi e sottoscritto diverse collaborazioni, tra le più note quelle con Salvatore Ferragamo e H&M.
Senza dubbio, Orange Fiber è una risposta importante al problema legato agli sprechi e all’inquinamento di quello che fino ad oggi ha rappresentato un grosso problema per l’intera filiera agrumicola, a causa degli elevati costi di smaltimento.
Rifò, azienda toscana di Prato, ha creato una linea di abbigliamento e di accessori di alta qualità prodotta interamente in zona, a km 0, con fibre 100% rigenerate.
Il nome viene dal toscano, dal verbo rifare e racconta l’economia circolare del rigenerare, oltre al modo di parlare degli artigiani toscani, che trasformano vecchi indumenti in una nuova fibra, donandole un nuovo prestigio.
Il progetto ha l’obiettivo di far riscoprire l’antica tradizione della lavorazione dei cenci, panni considerati di basso valore, da cui ricavare prodotti di qualità, con notevoli vantaggi economici ed ecologici.
Rifò fonde la conciliazione delle tecniche di lavorazione del passato, ma con uno sguardo sempre fisso all’innovazione e al futuro, nostro e del pianeta.
Se parliamo di moda e sostenibilità non possiamo non citare Vegea, una startup italiana fondata nel 2016 a Milano, che integra chimica e agricoltura.
Attraverso lo sviluppo di materiali ecosostenibili e alternativi ai classici derivanti dal petrolio, Vegea realizza prodotti per l’industria della moda e non solo: si occupa anche di arredamento, imballaggi, automobilistica e trasporti.
Il loro prodotto d’eccellenza è un’ecopelle vegana ecosostenibile, derivante dagli scarti della lavorazione vinicola, produzione che risulta ancora più impattante dello scarto degli agrumi.
Progetto Quid, brand di moda etica e sostenibile dell’impresa sociale Quid, crea capi d’abbigliamento e accessori in edizione limitata.
Si parte da eccedenze di tessuti messe a disposizione dalle più prestigiose aziende di moda, dalle quali vengono elaborate collezioni esclusive.
Questa realtà ha un grande impatto anche dal punto di vista sociale: si impegna ad offrire possibilità di lavoro anche a persone con trascorsi di fragilità, per concedere loro un’occasione di riscatto.
Un’altra realtà molto interessante è rappresentata da Greenchic.
Fondata nel 2015 con il nome Armadio Verde, è noto per essere il primo marketplace della moda second hand in Italia, in cui gli utenti possono vivere un’esperienza di shopping sostenibile, intuitiva e innovativa.
L’obiettivo dell’impresa è allungare il ciclo di vita di capi, scarpe e accessori, attraverso una piattaforma digitale nella quale rivendere abbigliamento usato a prezzi scontati.
Greenchic si occupa di raccogliere gratuitamente i vestiti che il cliente desidera scambiare. Chi fornisce indumenti usati riceve in regalo punti da spendere nel marketplace, con l’aggiunta di una piccola somma di denaro.
Il suo impatto positivo nel 2021 l’ha fatta diventare società benefit.
Innovare significa essere in grado di svolgere attività da sempre esistenti in un modo nuovo.
Le startup appena citate, che si impegnano a ripensare la gestione di settori storici del made in Italy come quello della moda e della produzione tessile, sono un esempio concreto di innovazione in questo senso, per allontanare l’idea che la moda sia spreco e fare in modo che la transizione verso la sostenibilità diventi uno dei suoi driver principali.