Green Economy
GreenVesting & Green Investing: Due modelli a confronto.

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3 anni agoon

GreenVesting & Green Investing: Due modelli a confronto.
Il “green” non è più un tema di nicchia per la finanza tradizionale, la quale si sta organizzando per smobilitare e ricollocare i propri capitali su aziende – azioni – che decidono di integrare la sostenibilità nei propri piani di crescita futura.
L’evento, giustificato da fattori caratteristici che il business green ha evidenziato maggiormente in questi ultimi tempi di turbolenza economica ed emotiva, è di portata epocale.
Eppure da una recente articolo pubblicato dal “The Economist” si evince come tali azioni, se condotte attraverso i canali tradizionali che la finanza adopera, non potranno essere sufficienti.
Tra Green Investing e GreenVesting vi è una sottile differenza lessicale e di ritmo sonoro, ma una profondissima differenza concettuale che vale la pena di approfondire.
I dati snocciolati dal “The Economist” (Green investing is red hot but its impact is underwhelming) sono chiari e raccontando di questa onda che monta e che rischia di andare a bagnare una piccolissima porzione di spiaggia: le aziende listate sui mercati di borsa sono responsabili di circa il 14% delle emissioni globali che oggi dovrebbero essere aggredite (19% di quelle relativi al consumo di energia e processi industriali – si arriva al 23% e al 32% rispettivamente, se si calcolano le emissioni collegate alla vendita di petrolio di utilities di natura pubblica). I dati sono stati raccolti dalle voluntary disclosure delle singole aziende dei vari settori e poi, in base ai parametri ricavati, dedotti per aziende similari degli stessi settori.
Certo, è una grossa, grossa fetta dell’economia, e non possiamo non considerare la probabile maggiore “intensità di investimento” (€/kgCO2) di cui vi potrebbe essere bisogno per far ridurre le emissioni di CO2 a comparti di mercato come quello aereo (carburanti, nuove tecnologie di volo, nuovi materiali..) o ad un unico soggetto come ArcelorMittal (il più grande inquinatore d’Europa), ma il rischio di una concentrazione ed intasamento su relativamente pochi soggetti di un enorme quantità di capitali, semplicemente perché altrove non potrebbero essere veicolati, c’è è ed più grave di quello che si possa pensare.
Fatta la metafora dell’onda, i motivi tecnici di tale considerazione, ad oggi puramente apodittica, sono in realtà collegati a ciò che si osserva della configurazione generale del mercato e dei suoi componenti, aziende, operatori e consumatori (comunque tutte persone assolutamente imprevedibili e solo parzialmente determinabili), immaginabile come un enorme sistema di vasi comunicanti, in cui però i diametri dei fori, le lunghezze e le geometrie delle condotte, le differenti quote, si manifestano attraverso risposte anelastiche e comunque comportamenti indotti non lineari.
Dunque la rappresentazione ancor più calzante per spiegare i rischi del concentramento di enormi risorse finanziare, attraverso i canali tradizionali (vecchi, complessi, resistenti al cambiamento e poco efficienti – ma ben controllabili da pochi), rispetto a come è configurato un intero sistema produttivo di mercato è la seguente: un sistema di secchi impilati, tra loro collegati (come in alcuni giochini di logica di recente apparsi sui social network), in cui il riempimento degli ultimi è dovuto al riempimento dei precedenti, e così via a risalire sino al primo. L’acqua che li riempie sono i capitali che arrivano a sostenere la transizione energetica nelle varie aziende o comparti aziendali.
Ebbene, se si ragiona con questo modello di finanza tradizionale, che comunque, a onor del vero, prevede una successiva distribuzione e induzione dopo il riempimento dei primi livelli, il rischio è quello di far rigonfiare, far traboccare e disperdere l’acqua all’inizio per farne giungere poca, troppo poca agli ultimi. Abbondanza, inefficienza, sprechi da una parte, scarsità ed inefficacia dall’altra.
A ciò si aggiunge il rischio della rottura per rigonfiamento (figura della bolla speculativa), la quale produrrebbe un effetto “rebound” pazzesco, al limite di fermare la corsa agli investimenti green, per manifesto crollo della redditività globale relativa.
E’ chiaro che a tale modello si deve assolutamente affiancare, se non contrapporre, quello della partecipazione diretta, democratica, dal basso di una quantità altrettanto importante di capitali nelle mani delle singole persone, dei consumatori finali: il GreenVesting. Oggi in Italia, e ben presto in Europa, rappresentato da Ener2Crowd.
Oltre alla possibilità, da noi augurata, di una certa finanza “para bancaria” ad usare questo stesso strumento, anche come leva, per iniziative che ricadano in quella porzione di economia reale, produttiva che rappresenta il restante 81% delle emissioni globali.
Oltre alla chiamata ai carrelli (digitali o reali) dei consumatori etici, vi sarà bisogno di rafforzare la diffusione della figura del GreenVestor, così come viene intesa da Ener2Crowd: una persona in grado di collocare i propri risparmi e disponibilità in modo rapido, senza intermediazioni o costi di sorta, direttamente in quella porzione di economia reale a cui la finanza tradizionale sarebbe in grado di arrivare solo dopo un lungo periodo di tempo. Quello necessario a far sì che tutta la filiera si allinei con i primi che riceveranno tali capitali. Mentre il tempo è sempre meno.
Il principio è semplice e prevede investimenti mirati, tanti, agilmente gestiti tramite strumenti fintech come le piattaforme di lending crowdfunding.
Da sempre ribadisco che alla green economy serva una finanza green, ma questa finanza non può essere unicamente rappresentata dal “green investing” tradizionale.
Dobbiamo necessariamente passare a metodi alternativi che innaffino la pianta alle radici e non sulla chioma. Le opportunità ci sono, gli strumenti anche. Non sfruttarli sarebbe perdere un’opportunità che potrebbe non capitarci di nuovo in futuro.
Nato nel 1983, ha studiato Ingegneria Meccanica presso l’Università Roma TRE. Appassionato di filosofia antica, moderna e contemporanea, ha iniziato da subito a lavorare nel mondo del marketing sportivo e della sostenibilità ambientale. La sua esperienza più recente, circa 6 anni, si costruisce nel mondo dell’energia, lavorando per una società di efficienza energetica alla direzione marketing e strategia ed effettuando diverse missioni internazionali. Una vita professionale dedicata al marketing strategico ed allo sviluppo di soluzioni di performance marketing. Nel 2017 co-fonda una società di consulenza per la comunicazione e la finanza aziendale (BAngel.it) il cui aspetto vincente è un approccio allo studio dell’innovazione e della strategia basato su una naturale inclinazione per il “lateral and critical thinking”: profonda comprensione della realtà, delle sue molteplici possibilità di percezione attraverso la stratigrafia sociale e delle conseguenti frustrazioni comportamentali ed aspirazionali, per individuare e delineare il panorama futuro. A fine del 2018 co-fonda Ener2Crowd, prima piattaforma di lending crowdfunding energetico e green in Italia: in meno di 12 mesi, con un aumento di capitale “pre-seed”, assieme ad un team coeso e dalle capacità variegate e complementari, oggi è un’azienda perfettamente funzionante e già a mercato, potendosi così definire un startup miracolo il cui obiettivo non è sola crescita del valore economico - il suo valore è già quadruplicato nel 2019 e potrebbe divenire una delle startup Italiane più importanti dei prossimi tre anni -, ma la produzione di una più ampia spinta al progresso della società globale attraverso la partecipazione diffusa e remunerata alla transizione energetica.
