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Green Economy

Edilizia e Sostenibilità: Intervista al Professor Marco Casini

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La sostenibilità è una tema che negli ultimi anni è divenuto centrale nell’economia italiana e mondiale. In questo senso uno dei settori che maggiormente deve e ha dovuto affrontare la sfida della transizione energetica è sicuramente quello dell’edilizia e della riqualificazione del patrimonio immobiliare nostrano. Per capire l’importanza e il ruolo chiave che la green economy ha in questo comparto abbiamo intervistato l’ingegnere e PhD in ingegneria ambientale Marco Casini, Professore associato di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Urbanistica, Design e Tecnologia dell’Architettura. Come esperto internazionale di Green Building e Smart Building, grazie alle sue attività di ricerca e progettazione nell’ambito dell’architettura sostenibile e dell’efficienza energetica degli edifici, ci ha chiarito la situazione attuale italiana e i prossimi sviluppi in tema di sostenibilità edilizia.

Buongiorno Professore, partiamo da alcune evidenze: in che stato di arretratezza è il patrimonio edilizio italiano dal punto di vista energetico?

Dal punto di vista energetico il patrimonio edilizio italiano rispecchia le caratteristiche del patrimonio edilizio europeo. Oltre il 70% degli edifici residenziali e circa il 60% degli edifici per uffici in Europa sono stati costruiti prima del 1980, in totale assenza di requisiti normativi in materia di efficienza energetica (la prima norma italiana in materia è la Legge 373/1976 seguita dalla L. 10/1991). Le dispersioni termiche attraverso le pareti e le coperture di tali edifici sono in media 8-10 volte superiori a quelle degli edifici di nuova costruzione che, ai sensi della nuova direttiva europea 2018/844/UE, a partire dal 1.01.2021 dovranno essere come minimo ad Energia quasi zero (nearly zero energy buildings, nZEB). Poiché al 2050 oltre il 75% del patrimonio edilizio europeo sarà ancora in piedi, la riqualificazione energetica degli edifici esistenti rappresenta un obiettivo strategico prioritario per tutta l’Unione al fine di ridurre i consumi di energia fossile e le emissioni di gas serra.

Quanto tale arretratezza incide nel computo del valore della ricchezza privata italiana? Una riqualificazione in questo senso migliorerebbe il valore di tale patrimonio in mano agli italiani?

Oltre il 60% del patrimonio edilizio italiano ha più di 45 anni e risulta costruito senza alcuna attenzione alle problematiche energetiche, o comunque con un’attenzione decisamente inferiore agli standard attuali. Di questi edifici, oltre il 25% registra consumi termici annuali da un minimo di 160 kWh/m2 anno ad oltre 220 kWh/m2 corrispondenti ad un costo di oltre 2500 €/anno ogni 100 mq, a fronte di uno standard sui nuovi edifici di 25-30 kWh/m2anno e un costo di 400 €/anno ogni 100 mq.

Tali edifici, oltre a rappresentare quelli con le peggiori prestazioni energetiche, risultano spesso ubicati nelle zone più periferiche della città ed abitati dai cittadini con minori possibilità economiche con fenomeni di povertà energetica (PE) sempre più frequenti e preoccupanti.

La riqualificazione energetica degli immobili porterebbe ad un’importante riduzione dei costi energetici di gestione stimabile per le singole unità immobiliari in un valore anche oltre i 3000 Euro l’anno (250 euro/mese) ogni 100 mq in relazione alla zona climatica, alla classe energetica dell’edificio prima e dopo l’intervento, e alle possibilità o meno di integrare fonti energetiche rinnovabili.

Oltre ad una riduzione dei costi di gestione e di manutenzione, e ad un miglior comfort per gli occupanti, la riqualificazione energetica consente di conseguire un maggior valore commerciale dell’immobile, sia nelle compravendite, che nelle locazioni stimabile oggi in almeno un 5% in più rispetto al valore medio di mercato. Valore percentuale destinato ad aumentare nei prossimi anni man mano che gli edifici ad energia zero diventeranno uno standard.

Nei prossimi 5 anni si potranno investire 30 miliardi per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano (residenziale, commerciale, pubblico, privato). Saremo in grado di trasformare queste stime in elementi di economia reale o Lei vede ostacoli di natura culturale, tecnica, normativa?

Dal punto di vista tecnico oggi non esistono vincoli od ostacoli alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti di ogni epoca o tipologia, sia per quanto riguarda l’involucro (pareti, copertura, finestre), che per quanto concerne gli impianti (riscaldamento, raffrescamento, produzione di acqua calda sanitaria, illuminazione) e l’introduzione di fonti energetiche rinnovabili (fotovoltaico, solare termico, pompe di calore, micro-eolico e mini-idrico).

Prodotti isolanti innovativi (aerogel), materiali a cambiamento di fase (PCM), vernici riflettenti la radiazione solare (cool colors) consentono di migliorare notevolmente le prestazioni dell’involucro edilizio intervenendo dall’esterno o dall’interno con l’aggiunta di elementi a bassissimo spessore perfettamente compatibili sia con le caratteristiche architettoniche dell’edificio che con il mantenimento della superficie utile degli spazi interni. Infissi ad elevato isolamento termico con vetri selettivi o addirittura a trasparenza variabile (smart windows) possono ridurre notevolmente sia le dispersioni termiche invernali che il surriscaldamento estivo, garantendo al contempo il massimo comfort luminoso degli ambienti.

Efficienti pompe di calore elettriche, ad aria, acqua o geotermiche, integrabili con sistemi fotovoltaici o solari termici, possono essere facilmente istallate in sostituzione delle attuali caldaie a combustione (automome o centralizzate) per la climatizzazione estiva ed invernale degli ambienti e per la produzione di acqua calda sanitaria con bassissimi consumi energetici.

I sistemi fotovoltaici possono essere oggi facilmente integrati nell’involucro degli edifici esistenti grazie ad una gamma di soluzioni caratterizzate da colori e texture di ogni tipologia (mimetic photovoltaic), perfettamente adattabili sia alle coperture che alle facciate (opache o trasparenti), anche in contesti di alto valore storico, culturale ed ambientale.

La gestione integrata di tutti gli impianti e le apparecchiature può infine oggi essere effettuata con sistemi domotici intelligenti facilmente gestibili con smartphone o tablet.

Anche dal punto di vista normativo il quadro di riferimento europeo e nazionale con la nuova direttiva 2018/844/UE è oggi fortemente indirizzato verso la promozione della riqualificazione energetica degli edifici esistenti (pubblici e privati) e numerosi sono gli incentivi di natura economica e fiscale messi in campo nel nostro Paese (ecobonus 110, bonus facciate) che prevedono anche la cessione del credito al fine di poter sostenere i costi di intervento.

Ulteriori sforzi dovrebbero essere compiuti nella direzione della semplificazione amministrativa e nella combinazione di strumenti di supporto economico (come le detrazioni fiscali) con strumenti di natura finanziaria (come eco-prestito) stimolando risorse per l’efficienza energetica da parte degli istituti di credito e introducendo sistemi premianti per i condomini più virtuosi (riduzione della quota dell’IMU/TASI, ecc.)

I principali ostacoli restano tuttavia sotto l’aspetto culturale, inteso questo sia come conoscenza delle possibilità tecniche offerte dal mercato e delle agevolazioni fiscali e finanziarie disponibili (ecobonus, bonus facciate, conto termico, ecc.), che come consapevolezza dell’importanza di riqualificare gli edifici sotto l’aspetto energetico in relazione ai vantaggi di natura pubblica (riduzione degli impatti ambientali, lotta ai cambiamenti climatici, riduzione della spesa sanitaria nazionale) e privata (riduzione delle spese di gestione, miglioramento del comfort interno) che è possibile conseguire.

In Italia abbiamo 800 mila impianti fotovoltaici e il 35% dell’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili. Come valuta la posizione dell’Italia rispetto agli obiettivi di Parigi e quanto questo programma di riqualificazione energetica nell’edilizia può aiutare il raggiungimento del 40% di riduzione di emissioni previsto per il 2030?

Con una produzione di energia da fonti rinnovabili pari nel 2018 al 17,8% dei consumi finali, l’Italia, insieme ad altri 11 Paesi, ha raggiunto in anticipo rispetto al 2020, gli obiettivi minimi fissati nel 2008 dall’Unione europea e che, per il nostro Paese sono fissati al 17% rispetto ad un valore medio per tutta l’Unione pari al 20%. L’Italia è in 13° posizione in Europa davanti a Paesi come Spagna, Germania, Francia, Olanda, Belgio e Regno Unito, e dietro invece ai Paesi del Nord Europa guidati dalla Svezia che, con il 65 % di energia prodotta da fonti rinnovabili nel 2018, è la nazione dell’Unione con la più alta percentuale di copertura dei fabbisogni mediante energia pulita (seguono Lettonia, Finlandia ed Estonia, rispettivamente con il 56, 55 e 54 %).

In Italia la crescita delle fonti rinnovabili negli ultimi anni è stata certamente importante passando da un 6,3% dei consumi finali del 2004 ad un 17,5% già nel 2015. Negli ultimi tre anni, tuttavia, tale percentuale si è assestata intorno al 18% senza aumentare ulteriormente (rispetto al 18,3% del 2017 la percentuale è addirittura calata). Molto buona è invece certamente in Italia la copertura mediante fonti rinnovabili dei consumi elettrici nazionali, pari nel 2018 al 33,9%.

L’Italia ha già raggiunto gli obiettivi europei al 2020 anche per quanto riguarda le emissioni di gas serra, diminuite del 26% rispetto al 2005 (17% rispetto al 1990) a fronte di un target di riduzione fissato al 13%. Più complicato sarà certamente il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del 33% fissato al 2030 nell’ambito di un impegno europeo che prevede una riduzione complessiva delle emissioni dell’Unione del 40% rispetto ai valori del 1990.

Poiché in Europa gli edifici sono responsabili complessivamente di oltre il 36% delle emissioni dirette e indirette di CO2 (queste ultime dovute all’utilizzo di energia elettrica a sua volta prodotta con combustibili fossili), il miglioramento delle loro prestazioni energetiche costituisce un passaggio irrinunciabile per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione. Non a caso l’obiettivo dell’efficientamento energetico degli edifici si trova in tutti i Piani nazionali integrati per l’energia e il clima.

Il problema, purtroppo, è che il consumo globale finale di energia negli edifici nel 2018 è aumentato dell’1% dal 2017 e di circa il 7% dal 2010 (quello di elettricità di circa il 19% nello stesso periodo) con un conseguente incremento anche delle emissioni di CO2 (+7%). I miglioramenti dell’efficienza in termini di consumi per unità di superficie nel riscaldamento (-20%), nell’illuminazione (-17%) e nella produzione di acqua calda sanitaria (-10%) degli edifici – conseguiti grazie ad un miglioramento tecnologico degli impianti e delle apparecchiature e alla riqualificazione degli involucri – sono riusciti, infatti, solo in parte a compensare l’aumento dei consumi energetici dovuti all’incremento della popolazione mondiale (+10%) e della superficie costruita (+23%), nonché l’aumento della richiesta dei servizi energetici, quali gli elettrodomestici (+18%) e il raffrescamento (+33%). In particolare, preoccupa l’aumento nei consumi per la climatizzazione estiva che, pur rappresentando ancora solo il 6% del consumo energetico globale degli edifici, negli ultimi 8 anni ha conseguito una crescita per unità di superficie dell’8%, in controtendenza rispetto a tutti gli altri servizi energetici.

L’Unione europea ha stimato che la ristrutturazione degli edifici esistenti potrebbe ridurre del 5-6% circa il consumo totale di energia dell’UE e del 5% circa le emissioni di CO2. Tuttavia, in media, meno dell’1% del parco immobiliare nazionale è ristrutturato ogni anno (le percentuali degli Stati membri oscillano fra lo 0,4% e l’1,2%).

Le emissioni globali di CO2 nel 2018 sono aumentate dell’1,9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un totale di 37,9 gigatonnellate (Gt). L’incremento rispetto al 1990 è di oltre il 60% con un aumento procapite di oltre il 12%. Occorre agire in fretta ed il miglioramento energetico degli edifici può dare un contributo determinante in tal senso.

Con quale impatto nell’economia e nella società?

Un miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, oltre ad una riduzione dei costi di gestione e di manutenzione per gli utenti, potrebbe portare importanti vantaggi in termini di miglioramento della qualità dell’aria dei centri urbani, di riduzione della spesa sanitaria nazionale (l’inquinamento atmosferico rimane una delle principali cause di morte a livello mondiale), e di una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento energetico del Paese.

Lo sviluppo del settore porterebbe, come sta già facendo in tutto il mondo, ad un aumento dei livelli occupazionali, dalla progettazione, alla fabbricazione dei prodotti, fino alla installazione dei componenti.

Secondo i dati forniti da Eurostat, tra il 2003 e il 2018 nei paesi dell’Unione europea la ricchezza prodotta dai settori della Green economy è passata da 135 a 289 miliardi di Euro con aumento anche dell’incidenza sul PIL pari ora al 2,1% rispetto all’1,4% di 15 anni fa. Progresso confermato anche da un aumento dell’occupazione nei settori green nello stesso periodo di oltre il 49% a fronte di una crescita di solo il 6% nei settori tradizionali. Nel 2018, nell’Unione europea 4,2 milioni di persone risultavano impiegate nell’economia verde mentre nel 2003 erano 1,4 milioni. In Italia la green economy crea circa 320 mila nuovi posti di lavoro ogni anno. In Italia i Green Jobs, ovvero le persone che lavorano in questo settore sono 3,1 milioni, il 13,4% degli occupati. Oltre 432mila imprese italiane negli ultimi 5 anni hanno investito in prodotti e tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.

Green economy significa anche attenzione sociale: il 56% delle imprese green sono imprese coesive, che investono cioè nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio.

Nella sua esperienza internazionale, ad esempio con il Team Sapienza nel Solar Decathlon, ha avuto modo di confrontarsi più volte con player stranieri. A che punto è l’Italia rispetto agli altri Paesi?

Solar Decathlon rappresenta certamente la più importante competizione universitaria internazionale a livello mondiale. Per oltre 2 anni le più prestigiose Università del mondo si sfidano nella progettazione e realizzazione del miglior prototipo, in scala reale, dell’abitazione del futuro: green, smart e interamente alimentata dall’energia solare. Alla sua prima partecipazione a questa competizione, la Solar House “ReStart4Smart” presentata dalla Sapienza è rientrata tra i 5 progetti premiati, su 22 partecipanti da 16 Paesi del mondo, vincendo 6 importanti medaglie nelle categorie Architettura, Interior design, House functioning, Integrazione del fotovoltaico, Mobilità sostenibile e Comunicazione.

Il progetto, portato avanti da un Team multidisciplinare, che ho avuto l’onore di guidare, composto da circa 50 tra i migliori studenti delle Facoltà di Architettura, Ingegneria, Sociologia e Comunicazione, è stato supportato dal MIUR e da oltre 45 partner industriali di eccellenza (la maggior parte italiani) che hanno fornito know-how e tecnologie innovative. Gli importanti risultati raggiunti hanno evidenziato come l’Italia rispetto agli altri Paesi sia altamente competitiva, sia nel campo della progettazione che in quelli della produzione di materiali e tecnologie innovativi e della realizzazione e posa in opera. Molti dei prodotti, dei componenti e delle tecnologie utilizzate erano di fabbricazione italiana, così come il design e l’architettura che hanno riscontato un notevole consenso di critica e di pubblico. L’attenzione delle imprese italiane all’ambiente si legge anche nella crescita dei brevetti green in Italia: complessivamente 3.500 (10% dei brevetti europei), con un aumento del 22% nel periodo 2006-2015 e una dinamica in controtendenza rispetto ai brevetti in generale.

Alla luce dell’importante esperienza portata avanti attraverso il Solar Decathlon, che ha coinvolto oltre 50 aziende del settore, emerge ancor di più, a mio avviso, che l’obiettivo a livello nazionale dovrebbe essere quello di promuovere la competitività delle diverse filiere industriali sfruttando le opportunità offerte dalla transizione energetica come motore di crescita sostenibile, secondo la logica del green new deal.

Quali sono i prossimi passi che lei vorrebbe vedere in campo nel contesto della sostenibilità? Se lei potesse indicare tecnologie o soluzioni più complesse che vorrebbe fossero implementate già da domani quali sceglierebbe? Quali sono gli ostacoli che ne impediscono l’attuazione immediata?

Il percorso verso la sostenibilità passa certamente attraverso un cambiamento radicale degli attuali modelli di produzione e consumo portato avanti a tutti i livelli da tutti i soggetti a vario titolo coinvolti.

L’esperienza del Covid-19 ha messo in evidenza, in molti settori dell’economia, le potenzialità delle tecnologie digitali e dello smart working riducendo in molti casi inutili e costosi spostamenti. In questo senso la diffusione capillare della banda larga costituisce una priorità per la competitività del sistema Paese, per migliorare l’accessibilità ai servizi, la gestione smart degli edifici e ridurre al contempo gli impatti sull’ambiente.

Gli ulteriori passi, oltre ad una rapida e profonda riqualificazione energetica degli edifici esistenti, riguarda a mio avviso il pieno sviluppo della mobilità elettrica, unica strada per ridurre l’inquinamento atmosferico (e acustico) delle aree urbane e ridurre le emissioni di anidride carbonica derivanti dai motori a scoppio (edifici e trasporti sono responsabili del 51% delle emissioni di CO2 a livello mondiale).

Non esistono soluzioni singole o semplici per mettere il mondo su un percorso sostenibile in grado di azzerare le emissioni nette di carbonio. La riduzione delle emissioni globali di CO2 richiederà una vasta gamma di tecnologie diverse tra loro, operanti in tutti i settori dell’economia in varie combinazioni e applicazioni. Tra le tecnologie che dovrebbero essere implementate già da domani, rientrano certamente gli impianti in grado di rimuovere la CO2 dall’atmosfera (le cosiddette tecnologie mangia-CO2). Nella nostra atmosfera ci sono oltre duemila miliardi di tonnellate di anidride carbonica emesse dalla rivoluzione industriale a oggi e destinate a durare per duemila anni. Per quanto noi possiamo ridurre le nostre emissioni, migliorando l’efficienza dei sistemi, il loro livello continuerà comunque a salire quando al contrario abbiamo l’assoluta necessità di ridurre la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera riportandola dalle oltre 410 ppm attuali a livelli più vicini a quelli dell’epoca pre-industriale (270 ppm). L’IPPC stima che le misure per l’agricoltura, la silvicoltura e l’uso del suolo potrebbero rimuovere tra 1 miliardo e 11 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2050. Le tecnologie mangia CO2 (Direct air capture, DAC e Bioenergy with carbon capture and storage, BECCS) potrebbero contribuire con almeno 8 miliardi di tonnellate all’anno (le emissioni mondiali di CO2 nel 2018 sono state oltre 37 miliardi di tonnellate).

Importanti aziende come Microsoft e Amazon, all’interno di un più ampio programma aziendale di riduzione delle loro emissioni, si sono recentemente impegnate nello sviluppo di queste tecnologie istituendo rispettivamente i fondi Climate innovation fund da un miliardo di dollari e Climate pledge fund da due miliardi di dollari dedicati al finanziamento dei progetti di ricerca in questo campo.

Da professore, come è cambiato l’insegnamento e la sensibilità degli studenti rispetto ai temi della green economy?

Sia l’insegnamento che la sensibilità degli studenti sono profondamente mutati nel corso degli ultimi 20 anni man mano che la questione ambientale, e la sfida ai cambiamenti climatici in particolare, è andata crescendo di importanza sotto la spinta di un forte aumento della popolazione mondiale, e del conseguente consumo di risorse e di suolo, nonché della produzione di sostanze inquinanti e di rifiuti.

L’attenzione e l’interesse degli studenti ai temi della sostenibilità ambientale e della green economy sono certamente cresciuti nel tempo unitamente ad una maggiore responsabilità individuale nei comportamenti (raccolta differenziata), nelle scelte di acquisto, privilegiando prodotti e aziende a basso impatto ambientale, e nella mobilità (bicicletta, monopattino, car-sharing, motorino elettrico, mezzi pubblici, ecc.). In generale, emerge una maggiore consapevolezza dell’importanza della salvaguardia dell’ambiente come unica strada per garantire, anche nei momenti di crisi economica, uno sviluppo sostenibile e duraturo, che negli ultimi anni ha trovato riscontro nelle grandi mobilitazioni studentesche quali quelle svoltesi sotto l’hashtag #Fridaysforfuture.

Tuttavia, i giovani non si informano in modo sistematico sulle questioni ambientali e tendono a non approfondirne i diversi aspetti, che restano invece tematiche di carattere prevalentemente scientifico ed economico. Nell’ottica di un cambiamento, che necessariamente potrà partire solo dai giovani, risulta pertanto determinante garantire un buon livello di informazione e formazione da parte di tutti i soggetti coinvolti, e della scuola in particolare, attraverso canali e modalità fruibili dalle nuove generazioni.

L’Università ha risposto a questa sfida integrando il tema della sostenibilità ambientale all’interno dei diversi insegnamenti o introducendo corsi e laboratori dedicati con l’obiettivo sia di orientare i comportamenti della collettività, sia di formare future classi dirigenti in grado di indirizzare lo sviluppo economico verso un modello circolare che sappia tenere in conto in modo efficace le dimensioni ambientali e sociali.

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